Taglio cesareo | dubbi e perplessità sul parto e taglio cesareo

L’uscita secondaria per un bambino: non la porta ma la finestra.
Effettivamente dovrebbe essere considerata l’uscita di emergenza, da utilizzare solo negli specifici casi di necessità.
Le statistiche riportano  che in Italia vi è una percentuale di tagli cesarei (TC) variabile tra il 30 e il 50% deve far riflettere. È un modo per evitare al minimo ogni rischio? È una pratica più sicura per gli operatori o per le donne? Sono aumentate troppo le indicazioni per un TC elettivo, ovvero programmato? Aumentando l’età cui una donna intraprende una gravidanza sono aumentati i rischi?

Nessuno darà mai una risposta univoca a queste domande: qualunque siano le risposte, i numeri parlano da soli.
Si tratta di un’incisione di circa 15-20 cm, molto bassa (sotto lo slip), che permette, una volta arrivati all’utero, l’estrazione del feto in qualunque posizione esso si trovi (con più o meno difficoltà).
E’ un intervento chirurgico che, nonostante la ormai appresa manualità, e può avere tutte  quelle complicanze legate all’atto operatorio, ma talvolta è necessario per salvaguardare il benessere della madre e del bambino.
E dopo un primo parto avvenuto tramite TC, è obbligatorio eseguirne un secondo? No, ormai è appurato che è possibile il cosiddetto parto di prova. Il rischio maggiore è che l’utero, sotto l’estensione imposta dalle sua fibre muscolari, vada incontro ad una rottura nel punto in cui era stata eseguita l’incisione al primo parto.
Per questo motivo si parla di travaglio di prova: Utile a verificare le capacità di dilatazione dell’utero.
Condizione necessaria: dal primo taglio cesareo devono essere passati almeno 2 anni, tempo minimo per una corretta cicatrizzazione e ripristino di un buon tessuto muscolare.
La determinazione di una donna e la sua convinzione nel voler metter al mondo il proprio bimbo con le proprie forze sono la prima arma per poter affrontare un travaglio di prova e non programmare immediatamente un secondo TC. A dispetto di quella che è la medicalizzazione dell’evento nascita, negli ultimi anni si è introdotto sempre più  un concetto, un’ideologia: la mamma protagonista del suo parto, attiva in prima persona nell’affrontare le contrazione, consapevole di avere a disposizione diversi strumenti per affrontare il proprio dolore e superarlo. Il  parto attivo, in quanto è la donna che attivamente supera una contrazione dopo l’altra con il movimento, con visualizzazioni, con l’aiuto di strumenti appresi durante la gravidanza. Dallo yoga al training autogeno, dai corsi in acqua allo shiatsu: ogni donna ha la facoltà di scegliere, ritenendo ciò che è più giusto per lei e per il suo bambino. Molti sono i corsi organizzati durante la gestazione che permettono alla donna di effettuare una scelta consapevole. Gli operatori sanitari che operano nell’ambito nascita sono responsabili nel garantire la fisiologia, il benessere di madre e bambino, ma i protagonisti indiscussi del parto sono loro. Una cosa mi piace spesso ricordare alle mamme: il travaglio e il parto sono un lavoro al 50 e 50, ovvero 50% lo fa la mamma (sia fisicamente che psicologicamente) ma l’altro 50% è compito del bambino (mettersi correttamente, sopportare il ritmo incalzante del travaglio…).
Non scordiamolo mai: non siamo da sole ad affrontare quel lungo sentiero in salita e in cima, ad ammirare il panorama, saremo in 2.

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